L’attività di soccorso con i cani è una matassa ingarbugliata quasi impossibile da districare. Campi di addestramento che spuntano come funghi, binomi pronti ad intervenire in ogni catastrofe divina e terrena: macerie, superficie, montagna, mare.
Su Google e su Facebook si trova un’offerta talmente vasta, intricata e confusa che non è facile individuare un filo conduttore coerente e riferimenti qualificati. Finché non ho incontrato il super esperto che, con pazienza, mi ha aiutata a dipanarla questa matassa, mi ha sistemato le domande, messo i pensieri in ordine ed è stato indulgente quando insistevo con sigle, organizzazioni e personaggi che non c’entrano nulla con il soccorso professionale. Ha capito che l’argomento non era facile per una come me che proviene da anni di attività cinofile individuali, con regolamenti chiari, dove la sequenza è sempre la stessa: gara, podio, foto di rito e tutti a cena a festeggiare.
I professionisti del soccorso non festeggiano. Salvare vite è il loro lavoro e, il più delle volte, per una che salvano, dieci ne perdono.
Insomma, non dovevo più pensare al cane in gara da solista, ma come lo strumento di un’orchestra.
Risultati veri?
Il soccorso è l’ultima moda fra le attività cinofile. Oggi la sua fama è schizzata alle stelle. Ma quanto c’è di attendibile in chi si proclama soccorritore a sei zampe? Quanti di coloro che esibiscono selfie autocelebrativi, zaino in spalla e cane al seguito, in ascensore, in auto o in elicottero (ricordate i terremoti a L’Aquila ed Amatrice?), sono davvero in grado di salvare vite umane e quanti invece si limitano ad esibizioni acchiappa-like su facebook?
Me lo ha spiegato uno che i risultati non li esibisce: «Quante persone hai salvato con i tuoi cani»? «Impossibile rispondere. Il salvataggio è un lavoro di équipe. Il risultato non è mai stato solo mio ma di tutti quelli che hanno lavorato per renderlo possibile. Posso solo dire che nel 2014 ho ricevuto un encomio dal Ministero dell’Interno per i risultati ottenuti nel salvataggio di vite umane con il mio cane Kimba».
Flavio Tunno è stato responsabile e istruttore nazionale dei cinofili del corpo Vigili del fuoco per la ricerca su macerie e superficie e ha fatto parte della commissione nazionale che ha definito gli standard di formazione ed intervento, standard riconosciuti fra i migliori al mondo e basati su linee guida internazionali, un preciso riferimento a livello internazionale.
Tre anni fa, per motivi personali, ha lasciato i Vigili del fuoco per trasferirsi in Svizzera, dove, attraverso la sua azienda (I.D.E.A. International Disaster Emergency Advisor), offre consulenze per la costituzione, la preparazione e l’aggiornamento delle squadre da soccorso di diverse organizzazioni in Italia e all’estero.
I robot del futuro
Ingegnere meccanico con una tesi di laurea sui robot da soccorso, specializzato in robotica, Flavio partecipa anche a un progetto della Comunità europea per la realizzazione di robot da macerie. I robot lavoreranno in sinergia con i cani e altri strumenti, per esempio le scavatrici. Saranno attrezzati con termo-camera, sensori di vario tipo, nasi elettronici che rilevano determinate proteine, microfoni per parlare con le vittime. Il robot integrerà il lavoro di ricerca del cane ma non lo sostituirà mai.
Il 10 settembre Flavio Tunno sarà relatore al congresso internazionale sulla cinofilia da soccorso “Redog Internationaler Kongress “Search&Rescue” che si terrà in Svizzera.
«Oggi, da una parte l’impiego dei cani è indispensabile, dall’altra è sopravvalutato» spiega Tunno. Per capire perché, vediamo come si interviene in una delle catastrofi più drammatiche: un terremoto. In generale, i soccorsi si articolano in 3 macro-interventi.
Che cosa dicono le statistiche
Secondo le statistiche, fatto 100 il numero di persone che si possono salvare:
1. 50 (le non intrappolate), vengono salvate dal “soccorso spontaneo”: cittadini residenti nell’area colpita, vicini di casa e appartenenti a corpi dello Stato, organizzazioni locali, associazioni che malgrado abbiano subìto l’impatto del terremoto, invece di scappare, reagiscono. Forniscono anche preziose informazioni perché conoscono il luogo e le persone presenti nell’area del disastro. Sanno quali sono gli edifici abitati, chi ci vive, hanno una stima indicativa di quante persone cercare casa per casa.
Intervengono in modo non coordinato, in genere senza dispositivi di protezione di sicurezza, senza attrezzature e strumenti tecnici adeguati.
Salvano vite ma rischiano la loro.
2. 30 (intrappolate da elementi non strutturali: arredi, macchinari), vengono recuperate da un soccorso che si va via via organizzando, composto da uomini in divisa, tra i quali Vigili del fuoco, Squadre comunali di Protezione Civile e squadre sanitarie.
3. 15 (intrappolate negli spazi vuoti sotto elementi strutturali), vengono salvate da squadre di Vigili del Fuoco con attrezzature speciali. La macchina del soccorso, a regime, diventa sempre più coordinata, strutturata e complessa.
Quando servono i cani
Nelle prime due fasi, dunque, viene tratto in salvo l’80% delle persone ancora vive e salvabili: sono quelle parzialmente intrappolate, con ferite lievi, traumatizzate. I cani non servono ancora.
«Il soccorritore cinofilo che arriva di sua iniziativa deve rapportarsi con i centri di coordinamento e non pretendere di svolgere attività individuali; non solo è inutile ma può far male a se stesso e agli altri, cane compreso» spiega Tunno.
Può capitare che si senta “un eroe” perché il suo cane ha individuato una persona, ma quella persona sarebbe stata trovata comunque dai primi soccorritori del posto, anche dalla vicina di casa che la vede o ne sente i lamenti.
Dove il cane invece è fondamentale è nella ricerca di persone intrappolate in profondità.
«Sono tante, quasi tutte senza speranza» spiega Tunno, «ma il 5% sopravvive, ed è qui che il lavoro dei cani preparati è insostituibile». Riconoscono l’odore del corpo umano quindi, attraverso il loro fiuto straordinario, individuano persone sepolte anche a 6 metri di profondità.
«Sotto le macerie, questo odore satura gli spazi, viene trasportato dall’aria per poi risalire o scendere e fuoriuscire in determinati punti rispetto alla superficie del crollo. Un naso ben addestrato è in grado di riconoscerlo».
Il lavoro di squadra
«Il cane individua la persona intrappolata, ma non la salva» continua Tunno. «C’è bisogno di una intera squadra coordinata, composta da persone preparate capaci di gestire e pianificare gli interventi».
A Rigopiano, per esempio, era in corso una tormenta di neve. Alcuni soccorritori raggiunsero la frana con gli sci perché non c’era altro modo per arrivare. Monitorarono il luogo, raccolsero informazioni preziose, individuarono le persone sepolte ma non poterono estrarle perché non avevano gli strumenti per farlo.
Vale anche per i cani, per questo entrano in azione quando ci sono le macchine e il soccorso è già strutturato come una equipe chirurgica o un’orchestra musicale dove ognuno ha un compito preciso. Non è una gara a chi è più bravo. «Il salvataggio è un lavoro di squadra». Non solo.
Non basta la segnalazione di un cane per convalidare una zona di recupero e trasferirvi attrezzature in grado di spostare le macerie di un intero palazzo. Serve quella di un secondo cane, a sua volta confermata da strumenti di verifica, per esempio una telecamera calata in profondità. Una falsa segnalazione potrebbe provocare danni irreparabili.
Interventi in sicurezza
«L’obiettivo è salvare il maggior numero di persone nel minor tempo possibile, senza mettere in ulteriore pericolo i malcapitati e i soccorritori. La sicurezza è fondamentale e ha sempre la priorità sull’intervento».
Eppure, c’è chi arriva e manda subito i cani sulle macerie. Così agiscono i dilettanti, non i professionisti. «Il cane deve salire solo dopo che i tecnici hanno studiato bene l’area, dopo il sopraluogo di un ingegnere strutturista che valuta il pericolo di ulteriori crolli e un attento calcolo sui rischi di natura biologica, chimica e altro».
Si devono conoscere le caratteristiche dei singoli crolli e sapere che cosa si può trovare sotto le macerie: per esempio dove c’era un’officina meccanica possono esplodere bombole di acetilene, da un’industria chimica possono fuoriuscire sostanze tossiche e c’è sempre il rischio di fughe di gas.
E dopo tutto questo, se il conduttore reputa la zona non abbastanza sicura per il suo cane, può decidere di non lavorare in quel luogo e ma in altri con la stessa priorità».
Professionisti e volontari
«I professionisti sono coloro che si occupano di soccorso per professione, a tempo pieno. Sono quindi Vigili del fuoco, Guardia di finanza, Polizia, Carabinieri. Possono essere affiancati dai volontari del Soccorso Alpino e da associazioni di volontariato iscritte ai coordinamenti Regionali e provinciali di protezione civile».
Tutti questi enti dispongono di reparti cinofili le cui attività sono regolate da leggi nazionali, regionali, provinciali, seguono procedure prefettizie che non hanno nulla a che vedere con quelle di enti di carattere sportivo.
Certificano i propri cani per la ricerca su macerie e in superficie secondo percorsi formativi e norme generate dai propri standard di sicurezza. E poiché sono intervenuti più volte in situazioni reali, i loro cani sono diventati abili anche grazie all’esperienza sul campo.
La ricerca in superficie viene attivata e gestita dalle Prefetture. Gli interventi su macerie invece sono gestiti e coordinati dalla Protezione civile tramite i vigili del fuoco.
Fido senza paura
Per essere reclutato nelle squadre dei professionisti del soccorso, il cane deve superare un test di ingresso che valuta il suo carattere. Deve essere socievole con le persone e con gli altri cani, quasi completamente privo di aggressività, vivace, sicuro di sé negli ambienti nuovi e non deve temere i rumori forti. Queste doti naturali gli permettono in seguito di consolidare, attraverso l’addestramento, le competenze specifiche necessarie al soccorso. Lo renderanno più sicuro e in grado di affrontare senza stress gli imprevisti durante gli interventi.
«Dovrà lavorare sotto neve, pioggia, sole e vento; saper individuare l’odore di un disperso che filtra attraverso i detriti impregnati da tanti altri odori, dalla puzza dei rifiuti domestici al profumo di uno shampoo; non dovrà farsi distrarre da elicotteri, martelli pneumatici, scavatrici che si trovano a pochi metri da lui».
In pratica, il cane dovrà cavarsela in mezzo al caos senza farsi sfuggire un solo disperso e garantire una ampia capacità di controllo delle aree di intervento.
Per questo deve saper collaborare ma anche lavorare in modo autonomo secondo quella che viene definita “risposta cognitiva”. Cioè deve imparare a risolvere da solo i problemi che incontra anche senza ricevere eccessivi ordini da parte del conduttore, che può essere lontano da lui o la cui voce può essere coperta dal rumore. Il cane da soccorso ha competenze molto specializzate, le ottiene se viene gestito senza conflitti, se mantiene alto il piacere al lavoro e costante la sua motivazione.
Articolo di Claudia Bacchi