Addestramento tra incudine e martello

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Un momento dell'addestramento alla fase di Difesa.

Quanto andrete a leggere, giaceva nella memoria del mio computer da anni e poiché la sua pubblicazione poteva essere associata alle vicende, ormai concluse, che hanno caratterizzato la mia vita di cinofilo e apparire quindi di parte, ho preferito tacere. Potrei ancora comodamente tacere, ma la mia onestà intellettuale e la costante deriva a cui assistiamo del settore addestramento mi impongono di condividere, con chi vorrà leggermi, queste perplessità, che sono solo una parte.

Ritengo che troppo e troppo poco correttamente si sia parlato e si parli sull’uso delle punizioni in addestramento. Questo lascia ampio spazio a quanti, sfruttando l’emotività spicciola, fanno disinformazione sull’argomento nell’intento di creare una controcultura in danno di tutti i cinofili che si impegnano quotidianamente nella tutela e utilizzo delle razze. Fintanto che le teorie preposte all’apprendimento dei cani non saranno divulgate in modo corretto e non passerà il concetto che il premio come la punizione concorrono all’apprendimento e che tali interventi sono etologicamente corretti e comprensibili dai cani, saremo fortemente esposti a denunce e critiche preconcette dettate soprattutto da ignoranza, superficialità e ipocrisia. Parlare liberamente anche di questo non può che essere di aiuto nel contrastare una informazione che ci vede sempre colpevoli nei rapporti con i cani.

Il limite fra correzione e maltrattamento
La carenza di protocolli addestrativi chiari e ufficiali hanno prodotto il luogo comune secondo il quale l’uso degli interventi in genere e specialmente quelli utilizzati nei campi di addestramento riconosciuti dalle varie società specializzate, siano la fonte di cani pericolosi e la rovina di tanti cani potenzialmente buoni. Niente di più falso se riferito ai cani pericolosi, i cui proprietari possono invece trarre beneficio dalle competenze acquisite da chi gestisce, con le dovute conoscenze, tali campi. Discorso a parte va fatto in merito alla rovina di cani potenzialmente buoni e adibiti all’ambito sportivo; infatti quando ciò accade, probabilmente, in quei campi mancano le dovute informazioni sulle teorie dell’apprendimento e impera la superficialità, l’impazienza e l’ansia da prestazione. Pochi sono disposti a lavorare con i tempi e la passione necessari all’insegnamento, sostituendo via via gli interventi atti ad ottenere gli esercizi previsti, mantenendo attiva la collaborazione del cane la quale, qualora venisse meno, darebbe la misura dell’errore commesso ma anche dell’assenza di etica e del rispetto verso di esso. In queste circostanze, basterebbe, in gara, penalizzare i concorrenti pesantemente, come già in parte avviene, per indurre gli addetti ai lavori ad apprendere l’uso limitato, corretto e funzionale dei possibili interventi. Non credo si possa ravvisare reato di maltrattamento in ciò che normalmente avviene nella preparazione di un cane a qualsivoglia disciplina o per giuste finalità (il reato di maltrattamento sottintende soprattutto, il godimento e l’inutilità degli eventuali interventi attuati). Molti si chiederanno qual è il limite tra finalità di impiego del cane da un lato e interventi idonei a una finalità. Il limite non può che essere il venir meno proprio della collaborazione del cane. Tali interventi, dovranno essere eventualmente, sempre commisurati al livello di accettabilità soggettiva che, assieme alle motivazioni positive bilanciano e consolidano il rapporto tra cane e addestratore/proprietario, rispettando il benessere psicofisico dell’animale durante la preparazione. I cani mi hanno insegnato che la disciplina, l’esercizio e l’amore sono i mattoni e la malta con cui saldare il rapporto con loro, ma solo nella progressione enunciata e da noi sempre proposta.

Adattare le tecniche ai limiti dell’allievo
A volte la cinofilia ufficiale, schierandosi indiscriminatamente contro qualsiasi forma di dialogo sull’argomento, diventa, suo malgrado, contraddittoria. Infatti, va considerato che tutti i regolamenti di gara e in particolare quelli relativi ai cani da Utilità e Difesa presuppongono, qualora necessari, interventi atti a definire la resistenza psicofisica ai fini della selezione di razza. Ogni tecnica di addestramento si basa sull’utilizzo della memoria associativa del cane, che funziona quando si rinforza un’azione da noi desiderata, ma anche quando interveniamo con una punizione per interdire un comportamento indesiderabile. È ovvio che la punizione deve essere commisurata al soggetto e tale da non compromettere il rapporto tra insegnante e allievo.
Quanto esposto è motivo sufficiente per comprendere che l’addestratore deve essere dotato di conoscenze non approssimative, di grande sensibilità e intelligenza per adattare le tecniche di addestramento alla capacità di apprendimento e al carattere dell’allievo, compresi gli interventi negativi (utilizzati anche per l’addestramento dei cani guida ciechi).

Fra indicazioni ufficiali e finalità selettive 
A tal proposito, il Ministero delle Politiche Agricole, vista la delibera del CTC dell’Enci, approva nel marzo 2005 il disciplinare degli Addestratori Cinofili. Il disciplinare, nella sua stesura, prevede la sottoscrizione di un Codice Deontologico il cui art. 2 recita;<<L’addestratore deve utilizzare unicamente sistemi di educazione basati sul rinforzo positivo finalizzando lo stesso al miglioramento della docilità e del controllo del cane>>. Questa indicazione è perlomeno, in parte, fuorviante se analizzata tecnicamente e applicata ai regolamenti di gara approvati dallo stesso ente e che sono di riferimento a tutte le Associazioni ad esso affiliate. Eppure, tutti gli interessati, a volte facendo carte false, si sono precipitati a firmarlo pur di ottenere questo titolo, senza minimamente porre in discussione il summenzionato articolo. Solo chi non è un tecnico e ha altre finalità può sottoscrivere il concetto di controllo del cane solo con rinforzi positivi.

Le conseguenze nelle prove di selezione
Per non parlare del divieto “all’addestramento di cani che ne esalti l’aggressività”. imposto dall’ennesima ordinanza Martini Art.2, comma 1, lettera a. Nessuno specifica quale tipo di aggressività non vada esaltata o messa sotto controllo ove presente, pertanto, in gara non dovremmo più fare differenze di giudizio tra cani con comportamenti dominanti sul figurante nelle fasi previste dai regolamenti e cani che, semplicemente, chiedono la manica per gioco e senza mai contrastare l’azione del figurante. La conseguenza logica dovrebbe essere la soppressione degli attributi caratteriali previsti per tali comportamenti. Nonostante questi leciti interrogativi, nessuno promuove alcuna iniziativa volta alla tutela di questo aspetto della zootecnia e degli addetti ai lavori. Anzi, in controtendenza, se a un cane in gara viene assegnato il giudizio “presente”, sarà comunque selezionato come un soggetto giudicato “pronunciato”, cioè con spiccate doti caratteriali, in particolare Tempra (capacità di superare agevolmente pressioni psico-fisiche), Aggressività (fonte di affermazione della specie in natura) e Docilità (capacità a lasciarsi condurre). A questo punto se le società specializzate non hanno le idee chiare in proposito non possono certo sperare che le abbiano i politici che scrivono le leggi in materia sull’onda di quella controcultura citata prima a cui tutti forse ci stiamo arrendendo. Ormai quanto scritto sopra è stato superato da comode normative volte ad appiattire in basso la selezione di diverse razze da utilità.
A nessuno interessa più il fatto che le razze da Utilità e Difesa siano nate e selezionate per ottenere soggetti in grado di superare agevolmente pressioni psicofisiche e che le prove di lavoro siano il banco di prova insostituibile per la loro corretta salute.

L’addestramento alla difesa per migliorerà la selezione
Nella sua ricerca sulla pericolosità del Pastore Tedesco, la Dott.ssa Dorit Urd Feddersen- Petersen rileva “allo stato attuale delle ricerche, la selezione della riproduzione allo scopo di produrre cani con un comportamento sociale ben sviluppato ed equilibrato è efficace per regolare il comportamento aggressivo. I criteri di selezione del Pastore Tedesco sono numerosi, l’addestramento alla difesa è programmato per non essere confuso con l’addestramento dello sviluppo della aggressività finalizzata a creare soggetti nevrotici”. La stessa ricerca rileva anche che “opinabili“ criteri di bellezza che trascurano il comportamento degli animali potrebbero creare danno alla razza e conclude “ritengo pertanto, assolutamente indispensabile l’addestramento alla difesa rigorosamente secondo le norme vigenti ai fini della selezione dell’allevamento“. Le norme vigenti sono riferite a 15 anni fa.
Inoltre, vorrei qui ricordare che la legge sul maltrattamento degli animali Art.544-ter, recita: “Chiunque, per crudeltà o senza necessità, cagiona una lesione ad un animale ovvero lo sottopone a sevizie o a fatiche o a lavori insopportabili per le sue caratteristiche ecologiche è punito….”
A questo punto, ci si domanda: qualunque tipo di addestramento, e in particolare l’addestramento finalizzato a prove volte alla selezione di razza, può ritenersi causa di maltrattamenti? Se la risposta è sì dovremmo abolire tutte le prove di lavoro, se la risposta è no, dovremmo tutelare giuridicamente gli addetti ai lavori e specialmente i soci, piuttosto che lavarsi le mani o peggio lasciarli soli e alla mercé di ignoranti da una parte e ipocriti che se ne disinteressano dall’altra.
Certo, non è facile porre rimedio a tanti e diffusi preconcetti che si sono consolidati, anche perché, come ribadito, chi avrebbe dovuto e deve promuovere questo tipo di cultura è stato quasi sempre latitante e continua ad esserlo.

Regolamenti impermeabili alle logiche di potere
Un’ultima riflessione. Ci siamo chiesti come mai da tutte le ordinanze, decreti e leggi vengono sistematicamente esclusi i cani delle forze dell’ordine e assimilabili? Non sono forse cani uguali agli altri? Non credete che sarebbe bastato inserire i cani da Utilità e Difesa in tali ordinamenti, visto che sono quest’ultimi ad essere, poi, utilizzati dai corpi di polizia? Purtroppo è mancata la volontà di promuovere una costante e corretta politica mediatica in tal senso. Certo, l’argomento è ostico e forse impopolare ma valeva e vale la pena provarci se si vuole essere coerenti con principi statutari di queste razze se letti in modo obiettivo, profondo, illuminato e lungimirante. Va da sè che per fare ciò si rendono necessarie regole nuove, attuate da tecnici competenti e impermeabili alle logiche di potere, per sperare in un rinnovamento e rilancio del settore, sempre più prostrato dai media e sempre più in crisi.
Mi auguro che parlando di questi argomenti, con la dovuta apertura mentale e nelle sedi opportune, si possa ridurre il pregiudizio e l’ignoranza che assieme all’occultamento della verità sono il miglior diserbante per lo sviluppo delle idee, della democrazia e dell’aggregazione.
A questo punto mi viene in mente una riflessione di Martin Niemöller, teologo e pastore protestante tedesco:
<<Quando i nazisti presero i comunisti, io sono stato zitto; non ero comunista!
Quando misero dentro i socialdemocratici, io sono stato zitto; non ero socialdemocratico.
Quando presero i sindacalisti, io sono stato zitto; non ero sindacalista.
Quando presero gli ebrei, io sono stato zitto; non ero ebreo.
Quando presero me, non c’era più nessuno a protestare>>.
Riflettiamo!

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